La Comunità Progetto Sud

 

… Il “progetto Calabria” prendeva sempre più forma, era scontato ormai che sarebbe stato il primo a partire, dei tre che si stavano preparando, perché i calabresi ci tenevano. Molto timidamente dissi a tutti che anch’io volevo andare in Calabria, feci un grande sforzo a esprimermi, mi sentivo emozionatissima, avvertivo il rossore che mi saliva sulle guance, sentivo che la mia voce era tremante, sapevo che con questa mia disponibilità compromettevo il mio futuro. La mia proposta balbettata venne accettata da tutti come scontata.

 

Il gruppetto che si delineò cominciò a riunirsi per programmare e verificare i suoi equilibri interni. I criteri per valutare l’autonomia del gruppo consistevano nella capacità di gestire l’assistenza, le pulizie, la cucina, il lavoro, l’economia, eccetera, ma soprattutto veniva esagita una armonia tra le persone che si mettevano insieme.

Cominciammo a ritrovarci per organizzare la casa dove saremmo andati ad abitare. Mi viene da sorridere oggi al pensiero di quanta sprovvedutezza c’era in noi. Per me era un’esperienza nuova e fino a poco tempo prima anche impensabile. Non avrei mai immaginato di mettere su casa, di comprare le cose necessarie per abitarci, di andare alla ricerca di piatti, bicchieri, materassi, coperte, reti. Queste cose le avevo sempre trovate pronte e non mi ero manco accorta che qualcuno le aveva sempre preparate per me. Per i quadri alle pareti invece sapevamo cosa fare: avremmo appeso quelli fatti con le nostre mani nel nostro laboratorio: invece non fu così. Questa fase contribuì a rendermi protagonista e viva all’interno di qualcosa di finalmente mio. Assorbivo pienamente tutto, sentivo che stavo crescendo e che prendevo in mano le redini del mio futuro.

Comprammo un sacco di cose, alcune forse non erano proprio come ci occorrevano, altre ci durarono per moltissimo tempo; ad esempio gli stuzzicadenti: credo che dopo quindici anni in dispensa ce ne siano ancora. Altre cose più che necessarie le avevamo completamente saltate, ma è stato di aiuto anche sbagliare ed accorgersene in seguito. In fondo per noi è stata una grande esperienza, e senza dubbio è stato importante viverla e gestirla fin dall’inizio.

Io smisi di andare nel laboratorio della ceramica e mi trasferii nel reparto dei metalli per imparare a dipingere le miniature. Il gruppo del Sud era ormai composto. Ero contenta che avrei ritrovato giù Franco, Emma e Albino. Con loro mi ero incontrata poche volte, ma erano bastate per sintonizzarci, ci eravamo capiti subito. Mentre noi eravamo coinvolti nei preparativi per scendere, loro che erano rimasti in Calabria preparavano il terreno. Giacomo e Franco viaggiavano, facevano la spola per mantenere i collegamenti, giù stavano cercando la casa per abitarci ed una struttura per lavorarci. Era stata avvistata un’ex scuola materna ormai abbandonata anche dalle ultime due suore. Lo stabile era di proprietà del Comune. Prendemmo contatti con l’ente pubblico per richiederla, perché con qualche modifica poteva diventare abitabile anche a persone in carrozzina, essendo situata totalmente al piano terra. All’inizio da parte degli amministratori non ci fu molta disponibilità a cederla, ma poi davanti alle insistenze del gruppo rimasto in Calabria si convinsero. Il Vescovo di Lamezia ci mise a disposizione alcuni locali del seminario. Ci sistemammo per poter lavorare, il posto era centrale, proprio davanti alla cattedrale e al municipio.

La comunità di Capodarco ci fece un prestito per riadattare l’abitazione e organizzare il laboratorio nel minimo indispensabile per dare inizio al lavoro produttivo. Da parte nostra c’era una grande voglia di toglierci i debiti prima possibile. Ritenevamo importante riuscire ad andare avanti da soli con il nostro lavoro. ..

 

… A Natale scesi in Calabria. Partii con il treno accompagnata da Beppe e Maria. Alla stazione di Lamezia Terme trovammo ad attenderci alcuni della comunità che erano arrivati con il fiammeggiante pulmino rosso. Ero molto curiosa di vedere la casa e come si erano organizzati, fino adesso ne avevo solo sentito parlare. Come per scherzo l’avevano chiamata “Comunità Progetto Sud”. Trovai un piazzale circondato da maestosi alberi, la casa, bellina, tutta ad un piano con grandi finestroni, semplice, con una posizione geografica che permetteva di sovrastare Lamezia fino alla rotonda del golfo e all’orizzonte del mare. All’interno erano state fatte le modifiche necessarie per renderla accessibile a tutti, eliminando le barriere architettoniche. Era una scuola materna trasformata in casa: una grande cucina, la sala da pranzo che veniva usata anche per le riunioni, le camere da letto, bagni e ripostiglio. Io andai a dormire nella camera più grande con Maria e Rosarietta. Nella nostra stanza avevamo una finestra ampia tutta vetri. ..

 

… L’entusiasmo iniziale e il sapore di avventura venivano messi alla prova giorno dopo giorno. Avevo iniziato a conoscere qualcosa ma dovevo imparare ancora molto dalla vita. Ero troppo timorosa di fronte alle minime responsabilità, eppure anche tanto incosciente da farmene carico senza sapere che cosa mi avrebbero compromesso …

 

… Con altri handicappati della comunità ripresi a studiare. Ci aiutava Giacomo; facevamo filosofia, italiano e storia. Ritenevamo lo studio uno strumento essenziale per acquisire elementi nuovi e per imparare ad esprimerci meglio. C’era ormai la consapevolezza di quanto ci aveva fregati l’ignoranza …

 

… La vita comunitaria mi mise in discussione. Vivere in comunità non poteva ridursi a risolvere soltanto i miei problemi. Se coloro che ci abitavano prima di me avessero avuto solo questo obiettivo quasi sicuramente io sarei ancora al Cottolengo rassegnata sulle mie incapacità e sui miei dolori. Invece qualcuno mi aveva accolta, mi aveva dato fiducia prima che io stessa credessi in me, mi aveva trattata da persona e non da handicappata da scarto.

Col passare del tempo imparammo molti lavori produttivi. Nel laboratorio inserimmo anche la lavorazione delle cornici, fatte sia per i nostri quadri che per la clientela esterna. Nel settore miniature in rame sostituimmo smalti a caldo con quelli a freddo per snellire la produzione e abbassare i costi. Organizzammo la vendita dei prodotti tramite le mostre mercato.

Partire per una mostra mercato significava star fuori casa almeno un fine settimana. Le mostre le allestivamo in collaborazione con gruppi di diverso tipo e disponibili a collaborare. Molto spesso gli accordi venivano presi per telefono o per lettera. Ciò che si trovava poi sul luogo era sempre una sorpresa che richiedeva a chi di noi andava alla mostra una grossa capacità di adattamento. Io ho partecipato a molte mostre mercato; penso di aver fatto concorrenza a molti marocchini in quegli anni. Il contatto diretto con la gente, il confronto con le realtà ospitanti, la possibilità di ampliare i nostri punti di riferimento, ci hanno aiutato molto. La vendita era sempre la nota più importante della mostra, specie quando eravamo al verde. Più volte siamo rimasti fino all’ultimo momento col fiato sospeso e col timore di tornare a casa senza una lira. …

 

… il tempo passava e l’esperienza di gruppo si solidificava. Davamo molta importanza alla sensibilizzazione sulla solidarietà sociale, a denunciare situazioni di emarginazione molto pesanti, a informare gli handicappati sui diritti che avevano.

Pensammo di dar vita ad iniziative culturali in cui gli emarginati avessero un ruolo di protagonisti ...

 

… Vivendo in comunità ho scoperto il valore dell’accoglienza dell’altro, chiunque esso sia, al di là del nome che porta, delle sue esperienze, con le sue positività, i suoi difetti, i suo problemi. L’accoglienza mi ha fatto conoscere cosa é un rapporto personale paritario, il confronto, l’amicizia, il quotidiano vissuto insieme. Arrivano in continuazione richieste di accoglienza da parte di persone che si trovano in situazione di bisogno, non solo handicappate. Ricordo Maria, un’anziana signora del nostro quartiere, aveva una paura folle a stare sola di notte. Per un lungo periodo io, Emma e Lina, a turno, con qualcuno che ci aiutava nell’assistenza, siamo andate a dormire a casa sua.

In comunità abbiamo sperimentato la vita insieme partendo un po’ tutti da una situazione di bisogno. Adesso invece alcuni passi li avevamo fatti. Ci sentivamo un gruppo capace anche di accogliere. Io in questo passaggio ho avvertito dei grossi cambiamenti in me. Prima mi sentivo in una posizione di scolara, ora invece sentivo di avere un ruolo, non ero più lì solo ad imparare (anche se ho appreso che fare una nuova accoglienza è sempre un rapporto di crescita reciproca). Mi son sentita investita di maggiori responsabilità facendomi carico delle persone che accoglievo …

 

… Un giorno si affacciò in comunità il proprietario di una ditta di protesi e di carrozzine e ci fece la proposta di venire una volta alla settimana per vedere di che cosa avremmo avuto bisogno, a patto che qualcuno di noi facesse da punto di riferimento e seguisse le carte burocratiche. Senza rendermi minimamente conto di cosa significava tutto questo dissi: “Faccio io da punto di riferimento”. Da qui è iniziata una lunga storia. Io cominciai a seguire le pratiche per gli handicappati della comunità. In seguito comincirono a rivolgersi a me anche altri handicappati del territorio lametino e regionale che non sapevano come portare avanti le loro pratiche, talvolta ignoravano addirittura cosa poter richiedere, o volevano comprendere perché la loro richiesta non era stata autorizzata, o perché si erano visti arrivare a casa una protesi inservibile. Pian piano capii che era importante controllare le ditte che vendono le protesi affinché consegnino l’ausilio giusto e non il residuato di magazzino del quale se ne vogliono disfare.

 

Sono passati ormai molti anni da quel giorno che quasi senza rendermene conto dissi: “Sì sì, lo faccio io”. Le richieste di informazioni mi raggiungono a tutte le ore ed in tutti i luoghi della comunità: a casa, al laboratorio, al centro studi ...

 

Il Centro Sudi diventò lo “Sportello Informativo per le Persone con Disabilità”, iniziai a studiare le leggi di competenza, ad aggiornarmi tramite news mirate, a scrivere, ad incontrare gente, a promuovere associazioni ed a sollecitare reti associative.

 

Da qui inizia un’altra storia. Le schede pubblicate sul sito rappresentano solo alcuni punti salienti del libro “Al di là dei girasoli di Nunzia Coppedé – Pubblicato dalla Casa editrice “Sensibili alle Foglie” nel 1992.

 



 



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